Ieri mattina ho preso un aereo alla volta di Mosca, per partecipare a questa conferenza alla quale presenterò le ultime misure di fotoni diretti con ATLAS. Ma non è di fisica che voglio raccontare, perlomeno per ora, quanto piuttosto del primo impatto con il pezzettino di Russia contro il quale ho sbattuto ieri.
Sono un viaggiatore abbastanza adattabile, abituato a zaino in spalla, sacco-a-pelo e sistemazioni spartane; e sono partito con aspettative piuttosto basse. Il sito della conferenza - probabilmente sviluppato con Notepad nel 1992 - non prometteva benissimo; il faticoso tentativo di convincere gli organizzatori a pagare i costi della conferenza con un bonifico bancario e non in contanti (carte di credito manco a parlarne) non mi avevano dato un'impressione di modernità galoppante. Per ora le mie previsioni non sono state smentite.
Atterro a Mosca intorno alle 18. L'ultimo messaggio degli organizzatori prometteva un delegato con cartello segnaletico a recuperarmi all'arrivo. In effetti il delegato arriva, più o meno intorno alle 20, dopo che ognuno dei fisici bivaccanti nella hall degli arrivi si è premurato di telefonare agli organizzatori: in effetti, si erano dimenticati. Un pulmino sferragliante ci porta direttamente a registrarci alla conferenza, dove gli organizzatori vogliono offrire subito a tutti la possibilità di assaggiare la pseudo-Coca-Cola russa (lievemente alcolica, penso per non confonderla con quella originale), e a me in particole l'occasione di verificare che il concetto di bonifico bancario supera le capacità locali. Per adesso il CERN insiste a confermare il pagamento, ma Mosca non riceve. Io fingo indifferenza.
Raggiungiamo l'albergo della conferenza verso le 21:30. Si rivela un leggiadro palazzone di cemento di 15 piani dalla facciata grigio topo, gestito dalla chiesa Ortodossa locale. Immagini religiose in ogni angolo, un ufficio pellegrinaggi nella hall, e persino una chiesa al 15' piano: lusso! Scelto dagli organizzatori per un pregio, evidentemente l'unico: essere a walking distance dall'Università. Ma allora perché ogni giorno ci verranno a prendere e riportano con un pulmino? Forse temono che scappiamo, in effetti ci sarebbero gli estremi.
Il personale dell'albergo non spiaccica strettamente nessuna parola di inglese. Io in russo so dire solo spasiba (grazie) e kanieshna (certamente), e già brillo nella folla dei fisici: la registrazione mia e dei colleghi prende parecchio tempo. La camera si conferma in tono con lo stile generale dell'albergo: dimensione da cella monacale, bagno ripugnante, esposizione a sud per garantire il massimo effetto serra, nemmeno un ventilatore (mica pretendevo l'aria condizionata!), finestre sulla maggiore arteria di scorrimento di Mosca, dove di notte tra l'altro si tengono simpatiche gare automobilistiche per la sgommata più rumorosa: ma questo lo scoprirò solo dopo mezzanotte.
Il ristorante dell'albergo chiude alle 22, in modo da garantire una probabilità prossima allo zero di trovarlo aperto una volta terminata la registrazione. Con un paio di colleghi ci avventuriamo dunque per le vie di Mosca alla ricerca di un posto dove mangiare. Scopriamo presto che il quartiere in cui si trova il nostro albergo ospita principalmente negozi di cucine, pavimenti in legno e mobili d'epoca. Ci va un po' per trovare una steak-house super-americana dove decidiamo di fermarci: sembra andare bene per il nostro collega musulmano che osserva Ramadan, e il decoro (balle di fieno, finimenti per cavalli e film western sugli schermi) ci fa almeno sperare che qualcuno dei giovanissimi camerieri in camicia di flanella a quadri sappia tre parole in inglese. Che illusi: la barriera linguistica si rivela di nuovo totale, e ho naturalmente dimenticato il phrasebook in albergo. Ordinare una bistecca (onestamente la più buona che abbia mai mangiato!) con patatine fritte e una birra richiede più di 20 minuti. Paradossalmente, sono le patatine a creare i maggiori problemi.
Il rientro all'albergo mi mette di fronte alla dura scelta tra non dormire per il caldo soffocante, tenendo la finestra chiusa per attenuare lievemente il casino dovuto alle gare automobilistiche, o non dormire per il rumore infernale del traffico moscovita che sembra nono conoscere sosta, nella blanda frescura della finestra aperta. Oscillo e provo entrambe le ipotesi, fino a collassare sul primo scenario intorno alle 2, nudo con un asciugamano umido a guisa di coperta per mitigare l'arsura (cancellate immediatamente questa immagine dalla mente. Subito). La situazione mi ricorda le notti a Colombo in Sri Lanka in un viaggio di molti anni fa. Il collega srilankese con cui ho pranzato oggi mi smentirà: secondo lui è molto peggio! Il mio phrasebook mi suggerisce di cercare dei zatihch dlya ushey (tappi per le orecchie) in una apteka (farmacia), andrò a caccia.
Sulla colazione dall'hotel sorvolo velocemente: l'offerta prevede riso bollito, wurstel, una salsa simile ketchup, pane e tè. Nemmeno l'ombra di un caffè, fosse pure Nescafé, a combattere i postumi della nottata. Mi suggeriscono di tenere botta con grandi quantità di te nero: ci provo da stamattina, sembra funzionare, ma la mia vescica ne risente. Oggi le prime sessioni, stasera il banchetto sul battello sul fiume. Vediamo come evolve.
© Marco @ Borborigmi di un fisico renitente, 18/08/2011. (Some right reserved)|
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